Di quando la Pesce ha bisogno di confessarsi - Pesce Comunica

Di quando la Pesce ha bisogno di confessarsi

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Un flusso di coscienza. Un modo per esorcizzare. Un momento di condivisione che fa bene a me, alla Pesce tutta e (si spera) a chi ci legge. Un racconto privato che si fa pubblico di fronte ad un avvenimento che impone di superare l’io alla luce di un noi nel quale nessuno sfugge, nel bene e nel male.

Nello stravolgimento di un piano editoriale definito a gennaio, ci siamo chiesti più volte se fosse utile (necessario) un post come questo. La risposta affermativa che la Pesce si è data dipende dalla natura stessa di questo Che Si Dice che è contenitore del nostro mondo. E un confinamento di due mesi, un nuovo modo di lavorare che abbiamo dovuto affrontare, una nuova fase da vivere, il buongiorno di un’umanità ritrovata che dovrà crescere (citando la splendida pubblicità di Lavazza) non posso non raccontarlo. E lo faccio random, mentre le dita battono sulla tastiera come catarsi.

C’è un inizio, il 9 marzo. E un nuovo inizio, l’11 maggio.

Il piano editoriale della Pesce e i suoi mesi di confinamento

Quel 9 marzo siamo entrati in ufficio per recuperare documenti utili.

Con noncuranza abbiamo attaccato un foglio scritto a mano sul vetro della porta: la Pesce lavora per un po’ da casa. Quel per un po’ si è chiuso l’11 maggio. In mezzo a queste due date una vita etimologicamente strana (diversa dal solito, molto singolare, tale da destare meraviglia, stupore e curiosità).

I programmi sono saltati. Alcuni clienti hanno chiamato per interrompere temporaneamente i lavori in corso. È stato il momento dello shock, un’interruzione generale che è errore (perché non si sospende una comunicazione in tempo di crisi, si adatta ma non si ferma). Ma un errore umano, di tutti, di fronte a un evento inaspettato che spaventa. E di fronte agli stop la Pesce ha avuto un po’ paura come tutti. Poi ha respirato e ha iniziato a rivedere il suo piano editoriale azzoppato, adeguandolo a nuove esigenze e a un nuovo linguaggio che ci privava di alcune parole e ne faceva avanzare altre.

Ed è sul linguaggio che si è consumato il confinamento.

Su un’attenzione ancora più maniacale nella sua cura che la Pesce ha adottato per sé e per tutti i suoi clienti: per evitare parole di un gergo bellico che niente hanno a che fare con una pandemia; per sottrarsi alla retorica superflua; per comunicare coraggio senza sminuire la gravità. Non sappiamo se ci siamo riusciti. Vi assicuro che ci abbiamo provato.

Poi, stranamente, ci siamo abituati.

Allo smart working; a non poter uscire; alle videochiamate; alla pulizia ossessiva di ogni superficie casalinga; alla necessità di cucinare piatti complicati solo per il gusto di tenerci occupati; alla mascherina per andare a fare spesa. Personalmente, a non parlare dal vivo con nessuno se non con Uli, il mio pesce combattente che gira nella sua bolla, confinato a prescindere. È stata un’abitudine resiliente, diciamo pure zen. Poche volte ci siamo detti che non ne potevamo più per evitare l’inutile energia di dirlo per poi doverlo fare comunque.

Anche i clienti che avevano interrotto progetti in corso hanno ripreso con nuovi progetti e abbiamo cominciato a respirare di nuovo con respiri più profondi. Abbiamo atteso le conferenze stampa di Conte (come tutti); abbiamo fatto aperitivi virtuali per godere di un tempo libero (da cosa e da chi, chissà); abbiamo lavorato molto di più del solito perché in casa professione e privato si confondono; abbiamo avuto i momenti no, quelli sì, quelli che miodioquandofinirà e quelli che sudaicelafacciamo.

Poi è arrivata la Fase due che ci diceva di poter tornare in ufficio il 4 maggio e ci siamo detti di aspettare.

Per paura, per una sorta di sindrome da confinamento al quale ormai ci eravamo aggrappati, per scaramanzia. E poi la pulizia del nostro spazio, le nuove scelte per viverlo e farlo vivere, i nostri tre Ma e poi abbiamo messo piede in ufficio di nuovo, lunedì 11 maggio. Un ritorno a lavorare guardandoci negli occhi, a distanza ma dal vivo. È stato bello, e non trovo altre parole per ingigantire quello che abbiamo provato: è stato solo bello.

I 3 Ma per entrare nell’ufficio della Pesce

Intanto abbiamo conosciuto nuove persone e nuovi clienti, conosciuti senza stringerci la mano ma salutandoci via Skype e va bene così; continuiamo a vivere una vita nuova fatta di nuove consuetudini; riprenderemo ad uscire per bere una cosa. E guardiamo fuori dalla finestra vedendo un mondo che non è più soltanto fuori.

Colonna sonora: Everlong (Foo Fighters)

Paola Bernasconi
Paola Bernasconi
Copywriter della Pesce. Il Che Si Dice lo scrive lei.

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