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Iniziamo dalla fine, da noi che lasciamo il nostro mini-ufficio nel centro storico di Sezze. Lo facciamo per motivi logistici e sembra quasi di essere nel 2019, quando la Pesce è nata e per sei mesi ha lavorato da casa.
Nel pieno di uno smart working generale, anche noi lavoriamo in salotto ormai da settembre; la decisione è stata quindi scontata e direi anche un po’ tardiva. Ma tant’è. Senza frenesia, cerchiamo già un’altra ampolla che ci contenga. Intanto siamo in pieno trasloco, tra sentimenti inevitabili di nostalgia, attesa per quello che succederà, stanchezza per l’assoluta incomprensibilità di come tutta questa roba possa essere entrata in neanche quindici metri quadrati in soli tre anni e mezzo.
Torno su questi schermi del nostro Che Si Dice dopo aver scritto due articoli che ho cestinato, come se avessi dimenticato com’è che si scrive per la Pesce dopo aver dato parole ad altri brand.
Perché io e Daniele siamo la personificazione di quel detto lì, quello sul calzolaio che va con le scarpe rotte e chissà quanti e quante come noi. Chissà quante piccole realtà aziendali si ritrovano a fare tanto per i clienti e poco per la propria attività. Perché non c’è tempo, organizzazione, soldi, energia, idee? Sì, in un circolo vizioso dove un motivo è causa e conseguenza dell’altro. Perché se c’è l’organizzazione ci saranno emergenze e contrattempi da risolvere per cliente Y; se c’è tempo è sempre meglio dedicarlo al nuovo progetto che seguiamo per cliente X; se ci sono energie e idee sono tutte da investire per cliente Z; se ci sono soldi li usiamo per pagare le tasse e non per una risorsa in più che ci permetterebbe di seguire anche la nostra strategia di comunicazione fatta di articoli su questo blog, post sui nostri social e tutte le attività che vorremmo.
Al netto di ogni qualunquismo, la Pesce è l’emblema delle piccole società italiane dove si sopravvive invece di vivere respirando a pieni polmoni. Emblema anche di qualche errore, primo su tutti la mancanza di una strategia di prezzo vincente che non abbiamo saputo impostare, vittime di inesperienza e di un mercato poco avvezzo a investire in comunicazione un budget che possa definirsi tale.
E mentre lavoriamo per risolvere prezzi e tutto il resto, ecco i numeri sulle nostre pubblicazioni. Sul nostro blog abbiamo pubblicato nel 2019 ben 42 articoli; nel 2020 abbiamo scritto 33 post, pochi meno; nel 2021, complice il restyling del sito, 12; nel 2022, siamo a 8 con quest’ultimo. Stessa discesa c’è sui nostri profili social, sempre meno attivi, con una pagina LinkedIn ripresa solo qualche mese fa dopo una pausa imbarazzante. Condividere questa discesa non è facile né piacevole. Farlo, aiuta noi e (forse) chi ci legge perché condividere frustrazioni fa sentire di essere in un club fatto di pacche sulle spalle e rassegnazione, ma non quella brutta, semmai una serena accettazione che, nel pieno della nostra umanità fatta di ossa, cervello, cuore e anima, siamo anche fallibili e possiamo non farcela su tutto. Soprattutto se a questa assenza non è conseguito un calo del lavoro, anzi.
Riflettiamo quindi sui nostri obiettivi che, a discapito di questa assenza di pubblicazioni, non hanno portato a una diminuzione di clienti, anzi. Il nostro pubblico è altrove e, a quanto pare, lo stiamo raggiungendo. E questa consapevolezza, a fine anno, è un bel traguardo che portiamo a casa.
E mentre diciamo addio al nostro primo ufficio, ci auguriamo di risentirci presto. Chissà se questo 2023 porterà un altro ufficio o se continuerò a scrivere il Che Si Dice dal salotto mentre il mio gatto miagola perché vuole giocare.
Buone feste da me e Daniele. Alla prossima.
Colonna sonora: il rumore dei tasti sulla tastiera.
